La prima luce nell’Universo Understand article
Tradotto da Lucia Morganti. Ana Lopes e Henri Boffin ci accompagnano in un viaggio indietro nel tempo – esplorando la storia dell’Universo.
Vi siete mai chiesti quando si sono accese le prime luci nell’Universo? La maggior parte di noi ha osservato il Sole sorgere al mattino, all’alba di un nuovo giorno. Gli astronomi si spingono oltre e cercano le prime sorgenti di luce – scrutando la storia dell’Universo con i loro potenti telescopi. La loro ultima aspirazione è ancora più ambiziosa: descrivere l’intera storia dell’Universo, dalla sua nascita – il Big Bang – al giorno d’oggi, circa 14 000 milioni (14 miliardi) di anni più tardi.
Fotografie dell’Universo
La luce non ha potuto viaggiare liberamente nell’Universo prima di 400000 anni dopo il Big Bang. A partire dal Big Bang, l’Universo ha continuato ad espandersi e a raffreddarsi (per una descrizione, vedi Boffin & Pierce-Price, 2007), allungando quella radiazione primordiale dalla sua alta frequenza originale a quello che oggi si rileva come fotoni nella banda delle microonde: la radiazione cosmica di fondo a microonde, proveniente da ogni direzione dell’Universo.
Gli storici si servono spesso di fotografie e di altre immagini per studiare il passato, e da questo punto di vista gli astronomi non sono poi diversi.
Utilizzando i satelliti COBE (COsmic Background Explorer) e Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP)w1 per ricostruire la mappa della radiazione cosmica di fondo a microonde, gli astronomi hanno realizzato una ‘fotografia’ dell’Universo così com’era circa 400 000 anni dopo il Big Bang. I dati di COBE hanno valso a John Mather e George Smoot il Premio Nobel per la Fisica nel 2006.w2
Secondo il modello cosmologico standard dell’evoluzione dell’Universo, 400 000 anni dopo il Big Bang l’Universo si era raffreddato fino ad una temperatura di circa 3000 gradi Kelvin, sufficientemente bassa perché gli elettroni ed i protoni potessero combinarsi e formare idrogeno neutro dal gas ionizzato. Gli elettroni nell’idrogeno neutro (come in altri atomi o molecole) assorbono fotoni in maniera molto efficiente, cosicché un universo pieno di idrogeno neutro è opaco.
Al contrario, quando i protoni e gli elettroni sono separati non riescono a catturare fotoni, e quindi un universo pieno di gas ionizzato – come era fino a 400 000 anni dopo il Big Bang, e com’è di nuovo oggi – risulta abbastanza trasparente. Le mappe realizzate da COBE e da WMAP ci mostrano l’Universo durante la sua fase opaca, all’inizio del ‘periodo buio’ (‘dark ages’). Questo periodo si è concluso quando l’Universo è nuovamente tornato ionizzato (vedi lo schema a destra).
Possediamo anche ‘fotografie’ di un Universo ben più recente: galassie piene di stelle, così com’erano 1000 milioni di anni dopo il Big Bang – quando l’Universo era tornato trasparente. Poiché la velocità della luce è un numero finito (300 000 km s-1), la luce che proviene dagli oggetti distanti impiega molto più tempo a raggiungerci di quella che proviene dagli oggetti vicini; di conseguenza gli oggetti distanti ci appaiono così com’erano moltissimo tempo fa. Osservando oggetti molto lontani, gli astronomi hanno potuto guardare la luce che ha viaggiato per 13 000 milioni di anni – e cioè hanno visto quegli oggetti così com’erano meno di 1000 milioni di anni dopo il Big Bang.
Ma cos’è accaduto fra queste due fotografie, fra il rilascio della radiazione cosmica di fondo a microonde 400 000 anni dopo il Big Bang e la luce emessa dalle galassie lontane, circa 1000 milioni di anni più tardi? Quando e come si è diradata la nebbia cosmica? Cosa ha trasformato un mare di particelle praticamente privo di strutture in un Universo con tante stelle in galassie giovani?
Ci spiega Abraham Loeb, astronomo all’Università di Harvard: “Gli astronomi si trovano in una situazione simile a quella di chi ha un album fotografico con la prima immagine ad ultrasuoni di un nascituro e qualche foto della stessa persona da teenager e da adulto” (Loeb, 2006). Quello che gli scienziati non sanno – ma stanno cercando di comprendere – è quando e come sono nate le primissime stelle e galassie. Loeb continua: “Gli astronomi stanno cercando le pagine mancanti dell’album fotografico cosmico, che mostreranno come l’Universo è cresciuto durante la sua infanzia e come ha assemblato i mattoni di galassie come la nostra Via Lattea.”
Prima che qualsiasi stella fosse formata, l’Universo conteneva per la maggior parte idrogeno, elio ed alcune tracce di elementi leggeri (come descritto in Rebusco et al., 2007). Per ionizzare l’idrogeno occorre un’energia superiore a 13.6 eV – il tipo di livello energetico che corrisponde ai fotoni della banda ultravioletta (UV). Quindi qualunque Universo per essersi reionizzato deve aver rilasciato una quantità significativa di radiazione UV.
Sebbene gli astronomi siano ancora incerti su cosa possa aver emesso tale radiazione ionizzante UV, essi ipotizzano che possano essere state le prime caldissime stelle, o i primi buchi neri, rilasciando enormi quantità di radiazione UV al cadere di materiale al loro interno. Se queste ipotesi fossero corrette, le stelle dovrebbero essersi formate prima dell’epoca della reionizzazione – e dunque riuscendo a datare la reonizzazione avremmo almeno la data in cui al più tardi sono nate le prime stelle.
L’impronta ultravioletta
Nel 1965 gli astronomi americani James Gunn e Bruce Peterson hanno predetto che lo spettro dei quasar potesse essere utilizzato per datare le fasi finali dell’epoca della reionizzazione. I quasar (radiosorgenti quasi stellari) sono galassie molto vecchie e molto lontane, di grandissima luminosità, che si ritiene dovuta alla caduta di materia nei buchi neri giganti collocati al loro centro. Se il quasar è così lontano che la luce che ci invia e che osserviamo è partita durante il ‘periodo buio’, la sua radiazione UV sarà stata assorbita dall’idrogeno neutro presente a quel tempo; se invece il quasar è più vicino a noi e la luce che osserviamo è stata emessa soltanto dopo la reionizzazione, non avrà più incontrato idrogeno neutro ad ostacolarla (vedi lo schema sotto). (Nota che gli atomi di idrogeno neutro assorbono tutte le lunghezze d’onda della luce, ma ne rilasciano la maggior parte. La luce UV, invece, ionizza gli atomi e viene interamente assorbita.)
Se una frazione piccolissima del mezzo intergalattico (anche soltanto una parte su un milione) fosse stata neutra nel momento in cui il quasar emetteva la luce che osserviamo adesso da Terra, questo avrebbe lasciato un’impronta chiara nello spettro – una soppressione di luce in banda UV nota come assorbimento Gunn-Peterson.
Seguendo questo ragionamento, James Gunn e Bruce Peterson predissero che i quasar oltre una certa distanza dalla Terra, tali per cui osserviamo della luce rilasciata prima della fine della reionizzazione, mostrano un assorbimento nei loro spettri. I quasar più vicini invece non ne hanno traccia – avendo rilasciato quella luce che osserviamo da Terra soltanto a reionizzazione conclusa.
Nel 2001, un gruppo di scienziati guidato da Robert Becker dell’Università della California, negli USA, ha confermato la previsione di Gunn e Peterson: essi hanno identificato un assorbimento inequivocabile nello spettro di un quasar molto lontano scoperto durante la Sloan Digital Sky Surveyw3, un’estesa cartografia astronomica che ha permesso di esaminare gli spettri di circa centomila quasar. L’assorbimento si trova nella banda infrarossa dello spettro a causa della distanza del quasar: la sua luce ha intrapreso il viaggio verso la Terra soltanto 900 milioni di anni dopo il Big Bang, impiegando 13 000 milioni di anni per raggiungerci, e durante questo tempo la radiazione inizialmente UV è stata allungata (fenomeno di redshift) nell’infrarosso a causa dell’espansione dell’Universo. I quasar leggermente più vicini alla Terra non mostrano alcun assorbimento. Questo fatto indica che le ultime regioni di idrogeno neutro nell’Universo sono state ionizzate circa 900 milioni di anni dopo il Big Bang.
L’impronta nelle microonde
La radiazione cosmica di fondo a microonde rilasciata poco dopo il Big Bang costituisce un’altra fonte importante di informazioni sull’epoca della reionizzazione.
Non appena l’Universo ha iniziato a reionizzarsi, gli elettroni rilasciati hanno modificato la polarizzazione della luce. Un elettrone libero può interagire con un fotone attraverso un meccanismo chiamato diffusione (o scattering) Thomson: l’elettrone viene accelerato e la luce incidente viene polarizzata nella direzione del moto dell’elettrone. Quest’effetto è particolarmente importante durante e appena dopo la reionizzazione: in seguito, a causa dell’espansione dell’Universo, la densità degli elettroni liberi diminuisce, riducendo il loro effetto polarizzante.
Fra il 2001 ed il 2006, il satellite WMAPw1 è stato utilizzato per studiare il grado di polarizzazione dei fotoni della radiazione di fondo cosmico a microonde. Esaminando diverse frequenze della luce, gli astronomi hanno potuto guardare epoche differenti nella storia dell’Universo – ed il grado di polarizzazione ha fornito loro un’indicazione della densità degli elettroni liberi ad ogni epoca (maggiore la polarizzazione, maggiore la densità di elettroni liberi). Da questi studi essi hanno concluso che la reionizzazione è iniziata circa 400 milioni di anni dopo il Big Bang, e si è conclusa 400 o 500 milioni di anni più tardi. Questo è in accordo con i risultati dagli studi dei quasar: 900 milioni di anni dopo il Big Bang.
Prospettive di ricerca
Il 14 maggio del 2009 l’Agenzia Spaziale Europea (ESA)w4 ha lanciato il satellite Planckw5, che ci fornirà una fotografia della radiazione cosmica di fondo con sensibilità e risoluzione angolare maggiori rispetto a quelle raggiunte da WMAP. Questo aiuterà senza dubbio gli astronomi a rispondere più dettagliatamente alle domande su come l’Universo si è evoluto da una zuppa incandescente a ciò che vediamo oggi
Nonostante il periodo in cui la reionizzazione si è verificata sia stato determinato con successo, non abbiamo ancora un’istantanea dell’Universo a quell’epoca, perché i telescopi attuali non sono in grado di produrla. La buona notizia, però, è che l’European Southern Observatory (ESO), insieme ad astronomi ed ingegneri da tutta Europa, è impegnato nel progetto dell’European Extremely Large Telescopew6, 42 m di diametro, che consentirà di guardare sufficientemente indietro nel tempo ed eventualmente di vedere la luce delle prime stelle.
References
- Boffin H, Pierce-Price D (2007) La fusione nell’universo: siamo tutti polvere di stelle. Science in School 4. www.scienceinschool.org/2007/issue4/fusion/italian
- Loeb A (2006) The dark ages of the Universe. Scientific American Nov: 46-53. This article is available to download from www.cfa.harvard.edu/~loeb/sciam.pdf
- Rebusco P, Boffin H, Pierce-Price D (2007) Fusione nell’universo: da dove arrivano i vostri gioielli. Science in School 5. www.scienceinschool.org/2007/issue5/fusion/italian
Web References
- w1 – Per maggiori informazioni sul satellite WMAP, consulta: http://map.gsfc.nasa.gov
- w2 – Un’introduzione al lavoro di John Mather e George Smoot sulla radiazione cosmica di fondo a microonde con COBE, e collegamenti ad ulteriori informazioni sono contenute nel comunicato stampa con cui si annuncia il Premio Nobel: http://nobelprize.org/nobel_prizes/physics/laureates/2006/press.html
- w3 – La Sloan Digital Sky Survey è il progetto di cartografia del cielo più ambizioso mai intrapreso. Una volta completata, conterrà immagini ottiche a grande dettaglio che copriranno più di un quarto del cielo, ed un atlante tridimensionale di circa un milione di galassie e quasar. Mentre il progetto va avanti, i dati vengono rilasciati annualmente alla comunità scientifica e al grande pubblico. Vedi: www.sdss.org
- w4 – Per maggiori informazioni sull’Agenzia Spaziale Europea, consulta: www.esa.int
- w5 – Per saperne di più sul satellite Planck: www.esa.int/esaSC/120398_index_0_m.html
- w6 – Per maggiori dettagli sull’Extremely Large Telescope dell’ESO, vedi: www.eso.org/public/astronomy/teles-instr/e-elt.html
Resources
- La sezione WMAP del sito della NASA offre materiale vario per gli insegnanti, inclusa una breve introduzione del progetto WMAP ed un modello gonfiabile dell’Universo. Vedi: http://map.gsfc.nasa.gov/resources/edresources1.html
- Per l’elenco completo degli articoli di Science in School sulla fusione e l’evoluzione dell’Universo, vedi: www.scienceinschool.org/fusion
- Se quest’articolo ti è piaciuto, potresti voler dare un’occhiata a tutti gli articoli ad argomento scientifico pubblicati precedentemente su Science in School. Vedi: www.scienceinschool.org/sciencetopics
- Potresti anche trovare interessanti i seguenti articoli:
- Larson RB, Bromm V (2001)The first stars in the Universe. Scientific American Dec: 64-71. L’articolo può essere scaricato da www.astro.yale.edu/larson/papers/SciAm01.pdf
- Madau P (2006) Astronomy: trouble at first light. Nature 440: 1002-1003. doi:10.1038/4401002a. Scarica l’articolo gratuitamente qui, o abbonati oggi stesso a Nature: www.nature.com/subscribe
- Scannapieco E, Petitjean P, Broadhurst T (2002) The emptiest places. Scientific American Oct: 56-63. Quest’articolo può essere scaricato da http://scannapieco.asu.edu/papers/sciam.pdf
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Review
Quest’articolo fornisce informazioni interessanti e dettagliate sulla ricerca moderna della storia e dell’evoluzione dell’Universo. Potrebbe essere utilizzato per lezioni interdisciplinari, ad esempio di fisica, astronomia, astrofisica o filosofia. Oltre ad offrire una valida lettura complementare, gli insegnati possono trarne materiale educativo.
Vangelis Koltsakis, Grecia