Idrocarburi: fossili, ma non (ancora) estinti Understand article

Traduzione di Monica Mauri. Proseguendo con la nostra serie di articoli sull’energia, Menno van Dijk ci guida tra passato, presente e futuro degli idrocarburi – ancora i più comuni fra tutti i combustibili.

immagine dettagliata di una
foglia di muschio (Mnium
hornum); sono chiaramente
visibili le parti della cellula
vegetale che immagazzinano
l’energia luminosa come
combustibile molecolare
(cloroplasti)

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Peters e Hans Ferdinand
Maßmann; fonte: Wikimedia
Commons

Mentre i ricercatori si stanno occupando dello sviluppo di combustibili puliti e rinnovabili, la nostra società è ancora quasi del tutto dipendente dai combustibili fossili. Come si sono formati, quanto ne rimane, e per quanto ancora dureranno?

Centinaia di milioni di anni fa, il mondo era deserto, ma non vuoto. Una varietà di animali e piante popolava i continenti. I mari ribollivano di vita e, come oggi, la gran parte della biomassa era costituita da organismi microscopici. Tutti ricavavano, direttamente o indirettamente, dalla luce solare l’energia necessaria per le loro molecole organiche.

Riserve nei giacimenti

Fin da allora, i continenti si sono allontanati , con ampi territori che sparivano inabissandosi e altri che si sollevavano. Il vento, il ghiaccio e la pioggia provocavano l’erosione delle rocce, creando grandi masse di sedimenti, specialmente negli estuari dei fiumi. Alcuni sedimenti erano porosi (come la sabbia o gli scheletri animali calcarei), altri impermeabili (come l’argilla). Anche materiali organici venivano interrati, ed i movimenti verticali delle masse di terra potevano portarli ad alcuni chilometri di profondità. Lì, essi venivano riscaldati dal calore interno della Terra.

Le elevate temperature e pressioni a quelle profondità causavano la scissione del materiale organico e la conversione in un fluido con una diversa varietà di strutture chimiche componenti: idrocarburi volatili quali metano ed etano, molecole paraffiniche di varie lunghezze, composti aromatici e strutture policicliche grandi e molto complesse. Poiché tutte sono costituite principalmente da carbonio (C) e idrogeno (H), vengono chiamate complessivamente “idrocarburi”.

Una sonda di perforazione
offshore

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Terao / iStockphoto

Questo fluido, principalmente con l’acqua che era anch’essa intrappolata, cercava di risalire attraverso le rocce porose finché non veniva – in alcuni casi – fermato da uno strato impermeabile di sedimenti. In zone nelle quali la geometria determinata da rotture e deformazioni aveva formato sacche di raccolta tridimensionali, o giacimenti, il fluido si accumulava, e lì rimaneva a sobbollire lentamente.

A causa dell’assenza di ossigeno, l’energia solare immagazzinata sotto forma di energia chimica all’interno delle molecole non veniva bruciata (ossigenata), ma conservata per milioni di anni. Talvolta si formava una fase gassosa distinta sopra a quella oleosa, ed in altri casi, quando solo piccolissime molecole idrocarburiche trovavano una strada verso una cavità di raccolta, si formava una ‘bolla di gas’. Consideriamo che questa bolla di gas, esattamente come un giacimento di petrolio, è racchiusa in una roccia porosa, i cui pori sono riempiti di petrolio e/o gas e/o acqua.

Sulla terraferma, anche materiali organici quali alberi e piante venivano interrati. In presenza di condizioni favorevoli, quando essi venivano rapidamente coperti da sedimenti e, in questo modo protetti dall’ossigeno, prevenendone la putrefazione, essi venivano convertiti in spessi strati di carbone. In alcuni luoghi, gli idrocarburi venivano a contatto con batteri capaci di metabolizzare alcune molecole, che così cambiavano la loro composizione. In tal modo ogni giacimento che immagazzinava l’energia solare accumulata sviluppava le sue proprie caratteristiche in termini di struttura del giacimento stesso e di composizione idrocarburica.

Il fabbisogno energetico nel mondo moderno

Principali produttori e
consumatori mondiali
(migliaia di barili giornalieri).
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l’immagine

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Con l’andare del tempo, l’umanità ha sviluppato una grande fame energetica. Originariamente , essa veniva esaudita soddisfatta dalla legna da ardere. Quando la crescita delle foreste non poté più stare al passo con la crescente richiesta di energia, si cominciò ad estrarre legna vecchia di milioni di anni dalle miniere di carbone. Ma la forma solida del carbone era ingombrante, pericolosa da estrarre e non molto economica. Infine, furono scoperti i giacimenti petroliferi. Sebbene l’uomo abbia utilizzato il petrolio fin dalla preistoria, il primo pozzo petrolifero moderno venne trivellato negli Stati Uniti il 27 agosto 1859 da Edwin Drake in Pennsylvania. Più tardi, altri pozzi vennero trivellati soprattutto nel Middle East, dove sembrava che, situate sotto la sabbia, ci fossero grandi risorse petrolifere, estraibili piuttosto facilmente.

L’avvento del motore a scoppio provocò una crescita esplosiva della richiesta di petrolio. E questa crebbe così velocemente da far sembrare vicina la fine delle riserve. Il Club di Roma, un comitato mondiale di esperti di questioni politiche, avvertì che il genere umano stava rapidamente esaurendo le riserve energetiche. Così si cominciò a cercare in luoghi più inaccessibili, e a scoprire molto più petrolio in giacimenti sommersi: nel Mare del Nord, nel Golfo del Messico, nel Delta del Niger in Nigeria. Sotto la spinta degli elevati prezzi petroliferi, si sviluppò la tecnologia per estrarre petrolio da profondità sempre maggiori. In più, si cominciò a prendere in considerazione il gas naturale. Originariamente, trovare il gas durante una perforazione era considerato segno di sfortuna. Lo si sarebbe potuto usare sul luogo, ma era troppo costoso esportarlo a lunga distanza. Anche in questo caso, gli sviluppi tecnologici cambiarono la situazione.

Gas liquefatti

La piattaforma Brent Alpha
nel Mare del Nord

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a disposizione da Shell Image
Library

Con la tecnica della liquefazione del gas naturale, il gas venne compresso fino a circa 1/600mo del suo volume, divenendo così trasportabile a lunghe distanze. Recentemente, è diventato possibile anche trasformare chimicamente il gas su scala commerciale in idrocarburi più pesanti (liquidi) come il gasolio o combustibile diesel (GtL, gas to liquid). Così, enormi riserve di gas (nel Golfo Persico, ad esempio, c’è un giacimento grande 10 volte quello di Slochteren in Olanda, il più grande giacimento europeo di gas naturale, della grandezza stimata di 1.5 × 1012 m3;anche la Russia possiede grandi riserve di gas) potrebbero essere usate per soddisfare il fabbisogno energetico.

Tutto questo è stato possibile grazie allo sviluppo di tecnologie avanzatissime. Il primo pozzo petrolifero della Shell in Malesia, a Miri, era a soli 140 m di profondità, e fu trivellato nel 1910 con una tecnica che i Cinesi avevano utilizzato per secoli per l’estrazione del sale. Nei 60 anni della sua esistenza, sono stati estratti 100 000 m3 di petrolio con una pompa a bilanciere.

Oggigiorno, il petrolio viene estratto dai giacimenti in acque profonde fino a 2.5 km, 6 km al disotto dei fondali. Questo richiede la trivellazione precisa di un foro di 50 cm di diametro, alla profondità di 6 km, da una piattaforma di perforazione che galleggia alcuni chilometri più in alto, sulla superficie del mare. Quindi, sul fondo, una costruzione chiamata testa del pozzo sottomarino, deve essere collocata sul pozzo, dal quale il petrolio deve fluire fino ad una piattaforma di produzione che a volte si trova a dozzine di chilometri di distanza. Questa non deve essere confusa con la piattaforma di perforazione, che perfora e costruisce i pozzi e poi viene spostata. Invece, le piattaforme di produzione contengono le apparecchiature di lavorazione.

Tra il giacimento e la piattaforma, può verificarsi una miriade di problemi che devono essere conosciuti e risolti. Oltre al knowhow e alla tecnologia, questo richiede ingenti capitali, e questo tipo di settore petrolifero può essere redditizio solo se produce giornalmente grandi quantità di petrolio: al largo delle coste della Malesia, è stato recentemente trovato un nuovo bacino, che produrrà in quattro giorni il petrolio che la prima fonte a Miri ha prodotto in 60 anni: cioè 650 000 barili di petrolio, circa 100 000 m3.

Dati di fatto sugli idrocarburi

R/P stimato: fino a 93 anni

Costo per kWh: il costo dipende enormemente dalla fonte. I costi di produzione spaziano da una manciata di dollari al barile per petroli facilmente estraibili in Arabia Saudita a decine di dollari al barile per petroli pesanti in zone remote.

Rischi: inquinamento durante trasporto e lavorazione; produzione di CO2 durante l’utilizzo.

Tempo di ricerca previsto: Le ricerche verranno eseguite finché questi combustibili esisteranno, al fine di renderli più economici, più puliti e più efficienti sul piano energetico, per estrarre una porzione più ampia di petrolio dai giacimenti, e anche per riuscire a sfruttare vantaggiosamente i piccoli giacimenti.

Dove stiamo andando?

Una cosa è chiara: tutto il petrolio o i gas che sono stati estratti sono perduti per sempre. Slochteren si sta esaurendo, i famosi giacimenti del Mare del Nord si stanno esaurendo, e persino nel Golfo del Messico, la più importante fonte di petrolio per la nazione più affamata di energia del mondo – gli USA – i bacini che vengono trovati sono sempre più piccoli. L’economia basata sugli idrocarburi morirà presto di una morte lenta, o forse veloce? In definitiva, le scorte sono certamente limitate, ma ci sono ancora degli assi nella manica degli idrocarburi.

Miglioramento del recupero del petrolio

A seconda delle precise condizioni di un giacimento petrolifero, approssimativamente un terzo del petrolio disponibile viene in genere estratto. Il resto rimane nei pori della roccia. Grazie alla tecnologia, si può ancora fare qualcosa per estrarre più petrolio: dalla relativamente semplice iniezione d’acqua per spingere fuori il petrolio dal giacimento, al lavaggio con tensioattivi e polimeri per sciogliere via il petrolio dalla roccia. Grazie agli elevati prezzi del petrolio, queste migliorate tecniche di recupero stanno diventando molto interessanti.

Oli pesanti e sabbie bituminose

Una manciata della sabbia
bituminosa nera estratta a
Fort McMurray, Alberta,
Canada

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Ci sono anche giacimenti che contengono oli molto pesanti, cioè viscosi. Prima questi non venivano valorizzati economicamente, ma anche qui la tecnologia può portare dei cambiamenti. Non è però una cosa facile, e richiederà grandi investimenti, anche nella costruzione di conoscenze.

Il petrolio molto pesante è ancora abbondante. Nelle sabbie bituminose e negli scisti bituminosi, sono immagazzinate riserve di idrocarburi – di dimensioni che superano di molto quelle dei petroli “accessibili”. In Canada, vengono prodotti giornalmente 200 000 m3 di petrolio dalle sabbie bituminose che vengono estratte. Questo è un processo costoso e difficile, non fosse altro che per le temperature estremamente basse che prevalgono in quella regione. Inoltre, il processo per produrre fluidi utili a partire dalle sabbie bituminose richiede una certa quantità di energia, e non è poi così efficiente. Per le scorte che si trovano a maggiori profondità (80% del totale), non è ancora disponibile nessun metodo di recupero.

Carbone

Anche le riserve di carbone sono ancora abbondanti. Negli ultimi anni, il carbone è stato la fonte energetica il cui impiego è cresciuto più rapidamente. Questo a causa dell’economia in crescita – e della conseguente domanda di energia – della Cina, la quale possiede solo delle limitate riserve di petrolio e di gas. La Cina consuma circa il 40% della produzione mondiale di carbone. Ma tutto questo ha il suo prezzo: la morte di dozzine di minatori ogni giorno (!) ed un enorme danno ambientale (per le piogge acide, tra altre cause) sono connessi con l’impiego del carbone. Con i processi moderni (come la trasformazione del carbone in gas) è possibile produrre energia dal carbone in un modo meno dannoso per l’ambiente. E con più investimenti e meno fretta, l’aspetto della sicurezza può anche essere migliorato.

Gas idrati

Il metano, di origine batterica o fossile, che viene liberato dai fondali marini, può formare quelli che sono conosciuti come gas idrati. Questo è un tipo di ghiaccio che, a causa del metano intrappolato all’interno (sotto pressione), ha un punto di fusione superiore. Grandi quantità di metano sono probabilmente accumulate in enormi bacini di idrati sul fondo dell’oceano, compresa la costa orientale degli Stati Uniti. Si pensa che le risorse energetiche complessive in gas idrati sulla Terra siano più grandi di quelle di tutti gli altri combustibili fossili messe insieme. Tuttavia, non si ha ancora neppure la più pallida idea di come sfruttare queste riserve (in modo sicuro).
Per una previsione fantascientifica su quello che potrebbe succedere se questi bacini di idrati dovessero destabilizzarsi, vedere Schätzing (2004).

Riserve e produzione

In gran parte della Terra sono state fatte ricerche della presenza di giacimenti petroliferi e di gas. La maggior parte delle regioni nelle quali sono presenti idrocarburi sono state individuate: queste sono note come regioni petrolifere e regioni dei gas, compreso il nostro Mare del Nord. All’interno di queste aree, si stanno ancora trovando dei giacimenti, ma quelli veramente grandi sono già noti, a sta diventando sempre più difficile e costoso sviluppare quelli nuovi. La tabella sotto riportata fornisce una panoramica delle riserve attualmente accertate. Tuttavia su questi numeri c’è una considerevole incertezza, sia di natura tecnica (stimare le dimensioni di un giacimento è estremamente difficile) che di natura politica (nazioni e compagnie petrolifere possono avere tutti i tipi di ragioni per far sembrare i giacimenti più grandi o più piccoli).

  Riserve Produzione annua R/P
  m3 Joules m3 Joules  
Crude oil 1.9 x 1011 6.8 x 1021 4.7 x 109 1.7 x 1020 41
Natural gas 1.8 x 1014 6.4 x 1021 2.7 x 1012 9.6 x 1019 67
Coal 8.0 x 1017 2.9 x 1015 6.1 x 1019 277
TOTAL   3.0 x 1022 2.9 x 1015 3.3 x 1020 93

Riserve mondiali accertate e produzione annuale di idrocarburi espresse in volume (m3 di gas in condizioni standard di 1 bar, 15 °C) e in termini di contenuto energetico. R/P è il rapporto tra le scorte e la produzione annuale, e fornisce il numero di anni restanti di durata delle riserve conosciute, se sfruttate all’attuale velocità di produzione
Fonte di dati: BP statistical review (www.bp.com)

Secondo questa tabella, al ritmo attuale di consumo, dovremmo avere ancora 93 anni per poter utilizzare tutta l’energia fossile disponibile. Questo sembra più rassicurante di quanto in realtà non sia, per alcune ragioni:

  • C’è una grande incertezza sul numero 93. Ciò non significa che esattamente dopo 93 anni di spreco energetico, improvvisamente il tempo scadrà – noi stiamo già cominciando a vedere gli effetti dell’esaurirsi dei combustibili fossili.
  • I processi per il recupero dei petroli più pesanti richiedono anche una maggiore quantità di energia, così un minor quantitativo di energia sarà effettivamente reso disponibile da questi petroli rispetto a petroli maggiormente accessibili.
  • Quando il consumo di energia, e di conseguenza la sua produzione, cresce, il numero degli anni in cui noi potremo ancora usare le riserve diminuisce (R/P).
  • Nuovi progetti che potrebbero aumentare le riserve richiedono enormi investimenti e prendono tempi lunghi tra il progetto e la produzione. Un semplice pozzo petrolifero costa attorno al milione di Euro, ma un pozzo situato in acque profonde potrebbe arrivare a costare più di 100 milioni di Euro. Nel progetto Athabasca sulle sabbie bituminose in Canada, sono già stati investiti 45 miliardi di Dollari, e ne devono essere investiti ancora 50 entro il 2012. Tra la scoperta di un giacimento e la prima produzione possono facilmente passare otto anni. In questo modo gli azionisti ed i politici devono mettere a disposizione tempo e denaro, ma essi generalmente hanno poca pazienza. Se non c’è un motivo a breve termine per investire, noi avremo di conseguenza una penuria di energia nel lungo termine.
  • In molti luoghi, assumono una loro importanza complicazioni politiche scarsamente prevedibili. Quindi, potrebbe non essere possibile avere accesso alle risorse.

Ci sono molti fattori che incidono sulla ricerca e sulla produzione di combustibili fossili, ma quelli principali sono che la quantità di idrocarburi è limitata e che le riserve di comprovata esistenza non dovrebbero essere viste come barili di scorta che possono essere aperti in qualunque momento: molto tempo e denaro devono essere investiti prima che essi possano essere usati. Si può immaginare che ci saranno problemi di produzione prima che la mancanza di riserve diventi problematica.

Il picco di Hubbert

Diagramma tratto dalla
proposta originale di Hubbert
del 1956. Cliccare per
ingrandire l’immagine

Immagine di pubblico dominio;
fonte: Wikimedia Commons

Basandosi su un’analisi del ciclo di scoperta, sviluppo, investimento in infrastrutture, ulteriori scoperte, e quindi il lento esaurimento delle riserve, Marion King Hubbert, un geoscienziato che lavorava al laboratorio di ricerca della Shell in Texas, sviluppò un metodo di analisi che riuscì a predire con successo il picco della velocità di produzione del petrolio sul continente Americano per il 1970. Egli fece questa previsione nel 1956. La sua teoria può essere applicata sia al singolo bacino petrolifero che ad un intero paese, e persino a tutto il mondo. Applicando questo metodo al nostro pianeta, si evince che dovremmo aver raggiunto ora questo picco. Se è così, noi abbiamo già superato il picco della produzione di petrolio pro capite.

Infine, bisogna notare che gli idrocarburi non vengono utilizzati solo per la produzione di energia. Approssimativamente la decima parte viene impiegata nell’industria petrolchimica per ottenere un’enorme varietà di prodotti: dalla plastica ai solventi, ai farmaci e ai detergenti. Proprio come l’energia, questi sono diventati una parte essenziale delle nostre vite. In breve, fortunatamente, ci sono ancora combustibili fossili, ma secondo il R/P, non dovremmo pensare a questo fatto come ad una soluzione del problema, ma come ad un suo rinvio!

Petroliere ed oleodotti

La tecnologia del trasporto del petrolio si è evoluta di pari passo all’industria petrolifera. Originariamente venivano utilizzate navi da trasporto e chiatte per trasportare il petrolio in botti di legno. Ma queste botti erano pesanti, soggette a perdite, ed erano costose, tanto da incidere fino alla metà dei costi di produzione del petrolio. Nel 1876, Ludvig e Robert Nobel, fratelli di Alfredo Nobel, fondarono la Branobel a Baku, in Azerbaijan, una delle più grandi compagnie petrolifere del mondo alla fine del diciannovesimo secolo. Essi aprirono con successo la strada alla costruzione delle petroliere, ma sperimentarono anche alcuni dei primi incidenti delle navi cisterna. Le moderne superpetroliere arrivano fino ai 400 metri di lunghezza, con una capacità fino a 500 000 DWT (DWT sta per deadweight tonnage, cioè portata lorda, una misura del peso che un cargo o una nave possono trasportare in condizioni di sicurezza). Esse possono trasportare due milioni di barili di petrolio, che corrispondono al consumo petrolifero giornaliero della Francia nel 2007.

Una petroliera nuova da 250 000-280 000 DWT costava 116 milioni di Dollari nel 2005 – ma le petroliere sono spesso di seconda mano. Nel 2007, le statistiche CIA contavano, in tutto il mondo, 4295 petroliere da 1000 DWT o più grandi: e questo equivale a circa il 37% della flotta mondiale in termini di DWT. Nel 2005, 2.42 miliardi di tonnellate di petrolio sono state trasportate via mare dalle petroliere: il 76.7% di queste era costituito da petrolio grezzo, il resto erano prodotti della raffinazione del petrolio. Eccetto gli oleodotti, la petroliera è oggi il mezzo di trasporto del petrolio più efficace in rapporto ai costi.

Solo per il quantitativo di petrolio trasportato, le petroliere moderne devono essere considerate una minaccia per l’ambiente, con fuoriuscite di petrolio dagli effetti devastanti. Il petrolio grezzo contiene idrocarburi aromatici policiclici che sono molto difficili da rimuovere, e rimangono per anni nei fondali e nell’ambiente marino. Le specie marine che vi sono costantemente esposte possono mostrare problemi nello sviluppo, predisposizione alle malattie, ed un ciclo riproduttivo anomalo. L’International Tanker Owners Pollution Federation (Federazione Internazionale dei Proprietari di Petroliere per lo studio dell’Inquinamento) ha individuato 9351 perdite accidentali verificatesi dal 1974 al 2008. La maggior parte delle fuoriuscite deriva dalle operazioni di routine quali il carico e lo scarico, ed il rifornimento di carburante. Mentre più del 90% delle perdite di petrolio che avvengono durante le fasi operative sono di piccole dimensioni, ammontando a meno di sette tonnellate per ogni fuoriuscita, le perdite dovute ad incidenti come collisioni, arenamenti, rotture degli scafi, ed esplosioni sono molto maggiori, e l’84% di queste comporta perdite di più di 700 tonnellate.

I moderni oleodotti esistono fin dal 1860, ed oggigiorno attraversano il mondo con una rete lunga milioni di chilometri e in continua crescita, con la Russia ed il resto dell’Europa che contribuiscono ciascuna con circa 250 000 km di gasdotti ed oleodotti (il 70 % di questi trasportano gas). Essi in genere costituiscono il modo più economico per trasportare grandi quantità di petrolio o gas naturale via terra. Gli oleodotti sono fatti da tubi di acciaio o plastica, con diametri interni che vanno dai 10 ai 120 cm, e sono in genere interrati a 1-2 metri di profondità. La portata del petrolio, pari a circa1-6 m/s, è assicurata da stazioni di pompaggio situate lungo l’oleodotto. Condutture multi-prodotto vengono utilizzate per trasportare due o più prodotti diversi in sequenza nella stessa tubazione. Solitamente non c’è una separazione fisica tra i diversi prodotti, così avvengono delle miscelazioni, le quali generano un’interfaccia contaminata che viene rimossa dall’oleodotto nelle strutture riceventi. Per il gas naturale, le tubature vengono costruite in acciaio al carbonio, con diametri che variano da 5 a 150 cm, a seconda del tipo di conduttura. Il gas viene pressurizzato per mezzo di stazioni di compressione, ed è inodore, a meno che non venga odorizzato con mercaptani, ove richiesto dalle autorità competenti.

Gasdotti ed oleodotti non sono semplicemente un mezzo di trasporto: essi sono connessi a questioni di geopolitica e sicurezza internazionale, e la loro costruzione, la collocazione, ed il controllo spesso figurano in modo rilevante tra gli interessi e le azioni dei vari stati. Gli oleodotti attraversano aree soggette a terremoti e guerre, riserve naturali e fondali marini. Poiché essi contengono materiali esplosivi ed infiammabili, sollevano particolari questioni di sicurezza, essendo le rotture e le esplosioni mortali gli incidenti più comuni.


References

  • Schätzing F (2006) The Swarm. Hodder & Stoughton (London, UK): ISBN-13 978-0340895238

Author(s)

Menno van Dijk lavora per il dipartimento per la sicurezza dei flussi al centro tecnico della Shell ad Amsterdam, in Olanda. L’articolo è stato da lui scritto per proprio conto, non in relazione al suo lavoro.

Review

La tecnologia potrebbe essere preistorica, ma l’utilizzo dei combustibili fossili continua a costituire una parte integrale e sempre più costosa del nostro stile di vita, non per ultimo a causa della rapida industrializzazione delle nazioni più popolose della Terra.

Come i prodotti farmaceutici, il petrolio è un grande business con un massiccio input scientifico. L’articolo di Van Dijk può fornire agli insegnanti di scienze una guida nella discussione su alcuni dei seguenti argomenti nelle loro classi. Gli studenti potrebbero prendere in considerazione gli aspetti economici di come possa pena convenire, oggigiorno, estrarre persino combustibili fossili relativamente inaccessibili. Quanto dovrà costare un barile di petrolio prima che valga la pena di affrontare le difficoltà dello sfruttamento delle riserve “iperpesanti” descritte? Gli studenti potrebbero prendere in esame il modo in cui la distribuzione delle riserve idrocarburiche sul nostro pianeta ha influenzato le relazioni internazionali, dal punto di vista sia strategico che economico.

E mentre la natura non-rinnovabile di questa risorsa è ben nota alla maggior parte degli studenti, il fatto che circa un decimo non venga affatto utilizzato come combustibile è meno considerato. Quali argomenti potrebbero sviluppare gli studenti per ridurre il consumo di combustibili fossili al fine di assicurare riserve di materie prime di origine fossile per impieghi che comprendono ‘materie plastiche, solventi, farmaci e detergenti’? La questione energetica richiederà un gran numero di risposte, e gli odierni studenti di scienze potrebbero elaborare alcune delle soluzioni, come anche essere adatti a vivere con una minore impronta idrocarburica nel futuro.

Ian Francis, Regno Unito

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