Un interruttore neuronale per la paura Understand article
Tradotto da Sara Cogliati. Quando qualcosa ci spaventa, dovremmo rimanerne paralizzati o dovremmo adottare un comportamento analitico? Sarah Stanley descrive come i ricercatori del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare stanno sondando i misteri del cervello, cercando di capire le basi…
Scappare, lottare o raggelarsi? Per un animale sopraffatto dalla paura, questo è un dubbio essenziale. Spesso la risposta dipende dall’amigdala- il più importante centro di gestione della paura-, localizzato in profondità nel cervello. Sia nel topo che nell’uomo, l’amigdala determina le reazioni a certi tipi di paura e fissa nella memoria a lungo termine le esperienze spaventose. Nonostante ciò, è ancora sconosciuto il modo in cui le cellule dell’amigdala comunichino con le altre cellule del cervello per produrre i comportamenti tipici che vengono adottati in risposta alla paura..
Il lavoro innovativo, pubblicato recentemente da alcuni scienziati del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (EMBL)w1, Monterotondo (Italia) in collaborazione con GlaxoSmithKlinew2, Verona (Italia) è servito a fare chiarezza su questo punto fondamentale. Gli scienziati si sono focalizzati su uno dei tanti tipi di paura che vengono processati dall’amigdala. Per capire le interazioni che si innescano tra le varie aree del cervello coinvolte nelle reazioni alla paura hanno utilizzato delle tecniche sperimentali innovative. Nel corso del loro lavoro, hanno identificato un meccanismo che agisce da interruttore tra le due principali reazioni alla paura: raggelarsi e, a sorpresa, un’alternativa alle opzioni della fuga, del combattimento o al restare immobili nota come valutazione attiva del rischio. Questa risposta attiva coinvolge comportamenti come retrocedere, scavare ed esplorare.
Topi abituati ad associare un rumore ad un trauma, solitamente raggelano dopo aver sentito il suono anche se non viene accompagnato dal trauma. I neuroni dell’amigdala che controllano questo tipo di risposta, sono chiamati cellule di tipo 1. Quando viene bloccato il segnale dalle cellule di tipo 1 alle altre cellule, i topi non raggelano più. Tuttavia, sembra che i neuroni di tipo 1 sono più che un interruttore on/off.
Con approccio pionieristico in questo campo, che combina la farmacologia con la genetica, gli scienziati dell’EMBL hanno modificato dei topi in modo tale che si possano inibire solo le cellule di tipo 1 senza intaccare le altre cellule. I topi sono stati modificati per esprimere alcune proteine sensibili ad un farmaco (recettori), esclusivamente sulle cellule di tipo 1. Quando i topi vengono trattati con il farmaco, questo lega i recettori e inibisce le reazioni biochimiche che distruggono la carica elettrica solo in quelle cellule specifiche. In questo modo questi neuroni non riescono più ad inviare i segnali elettrici alle regioni vicine.
Prima del trattamento con il farmaco, i topi sono stati abituati ad associare la paura ad un certo rumore. Dopo essere stati trattati con il farmaco che blocca le cellule di tipo 1, i topi sono stati esposti al rumore ed è stato analizzato il loro comportamento.
“In seguito all’inibizione di questi neuroni, non sono stato molto sorpreso nel vedere che i topi non raggelavano più alla paura dato che l’amigdala era abituata a produrre questa reazione. Ma ci siamo stupiti molto nel vedere che i topi rispondevano in molti altri modi differenti come retrocedere o assumendo altri comportamenti di valutazione del rischio” dice Cornelius Gross, responsabile della ricerca all’EMBL. “Sembrava che non solo avessimo inibito la paura, ma che avessimo cambiato la loro risposta alla paura: da passiva ad attiva. E questo non era assolutamente ciò che si pensava che l’amigdala potesse fare.
Per comprendere meglio le connessioni tra le cellule del cervello-il circuito neuronale- coinvolte nel cambio tra risposte attive e passive alla paura, gli scienziati hanno guardato all’attività in diverse regioni del cervello usando un tipo di analisi visiva del cervello chiamata risonanza magnetica funzionale (fMRI). In piccoli animali come i topi, la fMRI misura il volume locale di sangue come indicatore dell’attività del cervello: più sangue è presente in una particolare area del cervello, più quei neuroni sono attivi. Questo studio è il primo esempio di uso della fMRI per l’analisi dei circuiti neuronali dei topi, grazie all’uso di una nuova tecnica sviluppata dal gruppo di Angelo Bifone, scienziato della GlaxoSmithKline.
La visualizzazione del cervello ha portato un altro risultato inaspettato. Precedentemente gli scienziati pensavano che l’amigdala guidasse le risposte alla paura semplicemente rilasciando informazioni al sistema cerebrale che collega il cervello alla colonna vertebrale. Invece, Cornelius, Angelo e i loro collaboratori hanno scoperto che nei topi in cui erano state bloccate le funzioni delle cellule di tipo 1, lo strato esterno del cervello- la corteccia- era molto attivo, indicando che anche questa parte ha un ruolo determinante nella risposta alla paura. È stata inoltre osservata attività in una regione del cervello, chiamata prosencefalo colinergico, che influenza l’attività della corteccia.
Come tutte le analisi di visualizzazione del cervello, anche la fMRI necessita che il soggetto rimanga completamente immobile, per questo può essere eseguita solo se il topo è anestetizzato. I ricercatori però hanno voluto confermare l’associazione tra la corteccia e le reazioni alla paura nei topi in stato vigile. Infatti, poiché non è possibile osservare l’attività del cervello mentre i topi sono anestetizzati e quindi incapaci di avere una risposta alla paura, gli scienziati hanno adottato un approccio differente. Hanno usato il farmaco atropina per inibire l’attività della corteccia nei topi in cui le cellule di tipo 1 erano bloccate e hanno trovato che gli animali non assumevano più un comportamento di valutazione del rischio.
In questo modo, gli scienziati hanno dedotto che l’amigdala normalmente inibisce il prosencefalo colinergico, mentre manda un segnale al sistema cerebrale di controllare la risposta passiva alla paura: il raggelarsi (vedi l’immagine, A). Quando i neuroni di tipo 1 sono bloccati, l’amigdala non controlla più il prosencefalo colinergico, avvantaggiando l’attività della corteccia che produce una reazione attiva alla paura: la valutazione del rischio (vedi l’immagine B).
“Questo è una formidabile dimostrazione delle possibilità funzionali della MRI nell’ osservazione dei circuiti del cervello coinvolti in processi complicati come quelli emozionali e nel controllo delle risposte comportamentali” dice Angelo, ora all’Istituto Italiano di Tecnologiaw3 a Pisa.
In conclusione, i risultati di tutte le tecniche usate per studiare la risposta alla paura nei topi, indicano che l’amigdala gioca un ruolo molto più complesso rispetto a quanto si pensasse prima. Più che un mero passaggio di informazioni riguardo agli eventi paurosi, l’amigdala prende decisioni su come rispondere.
È molto importante notare che il tipo di paura preso in considerazione in questo studio- paura condizionata da un trauma doloroso- è molto specifico. Per questo, i risultati non possono essere validi per spiegare le altre tipologie di comportamento in risposta alla paura.
“Ci sono numerosi circuiti neuronali che coordinano in modo parallelo le informazioni provenienti da diversi tipi di paura. Per esempio, una parte del cervello del topo è spesso usata per gestire la paura di un predatore, ad esempio un gatto, mentre un’altra parte solitamente si attiva in risposta al comportamento aggressivo di un altro topo”, dice Cornelius. “si pensava in maniera semplicistica che il circuito cerebrale che coordina la risposta alla paura potesse essere solo acceso o spento, ma questo ora non sembra più essere vero.”
Gli scienziati non sono però ancora sicuri se i topi selvatici applichino la valutazione del rischio in risposta ad uno stimolo pauroso. L’inibizione delle cellule di tipo1 è stata provocata in modo artificiale in questo studio, ma non è noto se ci possano essere delle situazioni in cui i neuroni possono essere naturalmente inibiti, portando il topo ad assumere un comportamento investigativo per imparare di più dall’esperienza di paura.
Se la risposta attiva si verifica naturalmente nei topi, che tipo di stimoli esterni sono necessari per attivarla? Alcuni studi precedenti dimostrano che gli animali che si trovano più lontani dallo stimolo della paura probabilmente raggelano piuttosto che scappare o combattere. Ma gli scienziati non possono dire ancora se l’assumere una valutazione attiva del rischio è una questione di distanza. Cornelius sostiene che non si debba pensare che la valutazione del rischio sia usata al posto del raggelarsi solo in situazioni percepite come meno paurose.
Se la risposta attiva si verifica naturalmente nei topi, che tipo di stimoli esterni sono necessari per attivarla? Alcuni studi precedenti dimostrano che gli animali che si trovano più lontani dallo stimolo della paura probabilmente raggelano piuttosto che scappare o combattere. Ma gli scienziati non possono dire ancora se l’assumere una valutazione attiva del rischio è una questione di distanza. Cornelius sostiene che non si debba pensare che la valutazione del rischio sia usata al posto del raggelarsi solo in situazioni percepite come meno paurose.
Inoltre, anche noi umani mostriamo di raggelare o di assumere una valutazione attiva del rischio in risposta alla paura. Noi possediamo una regione dell’amigdala che è analoga a quella che governa il cambio tra risposta attiva/passiva nel topo. I pazienti che hanno subito delle lesioni a questa regione sono incapaci di sviluppare una risposta condizionata dalla paura, in questo modo, hanno reazioni tipiche a quelle che si hanno in risposta alla paura anche in altre situazioni. Grazie a questo, è molto probabile che i risultati di questo studio possano essere applicati direttamente all’uomo, dice Cornelius.
Rimane comunque ancora molto da scoprire su come gli uomini si comportano di fronte alla paura nelle diverse situazioni. Capire i meccanismi neuronali scatenati dalla paura avvicina sempre di più i ricercatori allo sviluppo di trattamenti farmacologici sempre più efficaci per il trattamento dei disturbi mentali legati alla paura- come i disturbi d’ansia e i disturbi da stress post-traumatico. Dalle parole del due volte Premio Nobel per la chimica Marie Curie, “ora è tempo per capire di più, quindi dobbiamo avere meno paura.”
References
- Gozzi et al. (2010) A neural switch for active and passive fear. Neuron 67(4): 656-66. doi: 10.1016/j.neuron.2010.07.008
Web References
- w1 – Per conoscere di più riguardo al Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (EMBL), vedi: www.embl.org
- w2 – Per informazioni su GlaxoSmithKline a Verona, Italia, vedi: www.gsk.it
- w3 – Per informazioni sull’Istituto Italiano di Tecnologia, vedi: www.iit.it
Resources
- Per una introduzione all’articolo del 2010 di Gozzi et al., vedi:
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Pape HC (2010) Petrified or aroused with fear: the central amygdala takes the lead. Neuron 67(4): 527-529. doi: 10.1016/j.neuron.2010.08.009
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- Come parte di una mostra (Pelle d’oca!La scienza della paura), il Museo della Scienza di Boston, USA, propone alcune attività paurose per le classi. Vedi il sito internet del museo (www.mos.org) o vai direttamente al link: http://tinyurl.com/65savzz
- Per un altro esempio di studio condotto usando fMRI vedi:
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Hayes E (2010) La scienza dell’umorismo secondo Allan Reiss. Science in School 17: 8-10.
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Institutions
Review
In questo articolo, sono stati eseguiti diversi esperimenti sui topi (di cui sono stati analizzati sia il comportamento che l’attività del cervello) per capire i dettagli delle loro risposte alla paura. Questo studio è molto importante per migliorare la nostra conoscenza su come il cervello dell’uomo funzioni.
Questo articolo può essere molto utile per dare agli studenti alcune informazioni su come la ricerca viene condotta nei laboratori scientifici. Gli insegnanti possono proporre agli studenti la lettura dell’articolo e poi invitare loro a riflettere su come rispondono alla paura, magari persino ideando e svolgendo un esperimento. Inoltre, gli studenti possono riflettere sui benefici evolutivi che questo tipo di reazioni hanno portato ai loro antenati e di come siano utili nella vita moderna. Gli studenti possono anche provare ad individuare degli animali che rispondono in maniera diversa alla paura e provare a correlare il loro comportamento all’ambiente in cui vivono.
In questo articolo viene descritto l’uso di nuove tecniche sperimentali come la farmaco genetica e la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Gli studenti a partire dai 16 anni possono provare a cercare nuove ulteriori informazioni riguardo all’uso di queste tecniche e alla loro importanza nella ricerca.
In fine, questo articolo può essere usato come pretesto per una discussione sulle ricerche effettuate sugli animali. Gli studenti possono riflettere su come le scoperte ottenute usando animali possano essere applicate all’uomo e possono discutere inoltre su possibili alternative ai test scientifici sugli animali.
Mireia Guell Serra, Spagna