Il gene egoista + e Richard Dawkins: Come uno scienziato ha cambiato il nostro modo di pensare*, Di Richard Dawkins Inspire article
Traduzione: Davide Del Campo. “Se non siete interessati a capire come l’evoluzione si sia realizzata, e non potete concepire che qualcuno possa seriamente preoccuparsi per qualcosa che non siano questioni umane, allora non leggetelo: questo libro vi farà solo inutilmente arrabbiare”.
Così scrisse John Maynard Smith de Il Gene Egoista.La classica esposizione della moderna biologia evoluzionistica di Richard Dawkins fu pubblicata nel 1976 ed è stata recentemente ristampata in occasione del 30 anniversario con una nuova introduzione dell’autore. Ma perché qualcuno dovrebbe arrabbiarsi per un libro di biologia evoluzionistica? L’avvertimento di Maynard Smith è interessante, non solo perché egli è uno dei quattro biologi citati nella introduzione alla prima edizione de Il Gene Egoista come una delle fonti della formazione intellettuale dell’autore (insieme con R.A. Fisher, G. C. Williams, and W. D. Hamilton). Ma l’ammonimento di Maynard Smith ai non biologi è stranamente in conflitto con l’intento esplicito di Dawkins “di esaminare la biologia dell’egoismo e dell’altruismo” – cosa potrebbe essere più inerente alle questioni umane? Nella sua prefazione a questa edizione, il biologo di Harvard Robert Trivers sostiene l’affermazione di Dawkins di rilievo universale quando scrive che “la selezione naturale ci ha costruiti, ed è la selezione naturale che dobbiamo capire se siamo in grado di comprendere la nostra identità”.
Questa dichiarazione ci ripaga con la stessa moneta di tutte le esagerazioni che hanno accompagnato il dibattito pubblico sull’evoluzione fin dalla metà del XIX secolo. E’ talmente pomposo insinuare che chi non capisce la selezione naturale non comprende la propria identità che la reazione di un lettore ignaro delle regole della letteratura di divulgazione scientifica dovrebbe giustamente essere la collera.
Ma non voglio suggerire nemmeno per un istante che il libro di Dawkins sia in qualche modo di scarso valore. Esso è di fatto una lucida dichiarazione di come quello che sembra essere un paradigma nella biologia evoluzionistica possa cambiare. Prima della pubblicazione de Il Gene Egoista, molti scienziati accettavano felicemente l’idea che la selezione naturale agisse per massimizzare il successo di una specie o di un gruppo. Per esempio, il premio Nobel Konrad Lorenz sosteneva questo punto di vista nel suo libro un tempo immensamente popolare L’Aggressività, pubblicato nel 1963. Secondo Dawkins, Lorenz “ha frainteso completamente e assolutamente” in quanto “non ha capito come procede l’evoluzione”.
Hamilton fu il primo a sostenere che l’evoluzione, invece di perseguire il bene della specie, lavori per massimizzare quello che egli definì la “inclusive fitness” dell’individuo. Partendo dalla semplice idea che, geneticamente parlando, la nostra sopravvivenza è equivalente a quella di due nostri fratelli, ci suggerisce che il calcolo della fitness dovrebbe includere non solo la progenie diretta ma anche quella della parentela, in quanto anche essa porta copie dei geni di un individuo. Questa prospettiva gene-centrata piuttosto che gruppo-centrata ci conduce a chiare spiegazioni di tutta una vasta gamma di comportamenti animali, incluso l’altruismo delle api operaie, che alla luce della nuova teoria si rivela una strategia per massimizzare la progenie genetica personale.
La inclusive fitness implica inoltre che gli animali dovrebbero essere capaci di quantificare il grado di parentela tra essi stessi e gli altri. In un articolo pubblicato in Nature il 15 febbraio 2007, Debra Lieberman e colleghe mostrano per la prima volta che gli uomini hanno un sistema di individuazione familiare che influenza il loro comportamento verso gli altri. La rilevanza della inclusive fitness negli affari umani è diventata molto più chiara dal tempo in cui Hamilton la descrisse nel 1964 a proposito degli insetti sociali e ne Il Gene Egoista una nuova generazione di biologi ne ha sentito parlare per la prima volta.
Trenta anni fa, Dawkins sosteneva una serie di idee che erano abbastanza mature per fondersi in una visione coerente dell’evoluzione ma ancora abbastanza nuove da rimanere confinate in un gruppo selezionato dei più importanti biologi inglesi e americani. L’onda rivoluzionaria, combinata con la profonda intuizione del meccanismo dell’altruismo, è ciò che rende il libro ancora oggi eccitante alla lettura.
Molto diverso è il contesto per il contributo degli autori al volume di saggi pubblicati simultaneamente all’edizione dell’anniversario de Il Gene Egoista. Richard Dawkins: Come uno Scienziato Ha Cambiato il Nostro Modo di Pensare – Riflessioni di Scienziati, Scrittori, e Filosofi, a cura di Alan Grafen e Mark Ridley, è una collezione piuttosto assortita di brevi pezzi. Troppi sono i “Dawkins è brillante” insegnante o scrittore, il che è rispettosamente vero ma alla fine noioso. Ci sono eccezioni, tuttavia, e in particolare raccomando le riflessioni di David Haig in “The Gene Meme”. Questo prende l’avvio dall’idea del meme come un unità dell’evoluzione culturale, proposta da Dawkins nell’ultimo capitolo de Il Gene Egoista. Il concetto di gene dovrebbe essere un tipo di meme e Haig traccia la sua evoluzione per concludere che una visione gene-centrata della biologia è più fruttuosa che una visione della cultura meme-centrata. Se tutto ciò vi lascia intrigati, andate a (ri)leggere l’originale di Dawkins – ma non arrabbiatevi.
Dettagli
The Selfish Gene
Publisher: Oxford University Press
Publication year: 2006
ISBN: 0199291152
Richard Dawkins: How a Scientist Changed the Way We Think
Publisher: Oxford University Press
Publication year: 2006
ISBN: 0199291160