Insegnare materie scientifiche ed umanistiche: un approccio interdisciplinare Teach article

Traduzione di Gianluca Farusi. C’è una richiesta sempre più crescente per un approccio interdisciplinare all’insegnamento ma non è facile concretizzarlo in lezioni interessanti e facilmente realizzabili. Gianluca Farusi, professore di chimica, spiega come abbia utilizzato due dipinti del…

An interdisciplinary approach

La Pala d’altare di Brera,
1472-74 (tempera su tavola)
di Piero della Francesca
(c.1419/21-92)

Per genile concessione della
Pinacoteca di Brera, Milano,
Italia /Alinari/ The Bridgeman
Art Library

Gli studenti, spesso, non sono a conoscenza dei legami esistenti fra discipline scientifiche ed umanistiche e ciò è da imputare al modo in cui i due tipi di saperi, posti alle volte in opposizione, vengono trasmessi agli allievi. Un dipinto costituisce un ottimo punto di partenza per un approccio interdisciplinare e noi abbiamo deciso di studiare la Pala di San Bernardino di Piero della Francesca che abbiamo affrontato da differenti punti di vista.

Per quanto riguarda le discipline umanistiche abbiamo chiesto agli studenti di prendere in esame gli aspetti simbolici. Ad esempio, il Bambino Gesù indossa una collana di perle di corallo, con un piccolo ramo, sempre di corallo, che gli poggia sul petto. E’ forse una scelta casuale? Certo che no! Il rosso del corallo rappresenta il sangue di Cristo (infatti si trova sul petto, nel punto in cui Gesù fu trafitto sulla Croce) e simboleggia la Passione e la Resurrezione. Gli antichi Greci, infatti collegavano il corallo con l’impresa eroica di Perseo: quando recise la testa di Medusa, il sangue che ne sgorgava si tramutò in corallo non appena toccò l’acqua del mare ed è appunto per questo motivo che il corallo è simbolo di rinascita. Sulla scorta dell’esempio precedente, gli studenti potrebbero discutere il simbolismo della conchiglia, dell’uovo di struzzo, o di altre rappresentazioni presenti nel dipinto.

Per quanto concerne la matematica, prospettiva e rapporto aureo costituiscono sicuramente gli aspetti più interessanti, ma gli studenti si potrebbero porre anche un obiettivo di tipo geometrico: ad esempio calcolare il volume e l’area della volta.

Per quanto riguarda le scienze della terra, agli studenti è stato chiesto di identificare le pietre illustrate sullo sfondo, confrontandole con i campioni di marmo, di diaspro, di porfido e di altri materiali collezionati in un museo. Altri spunti ancora, per le scienze naturali, potrebbero consistere nell’indagare la natura dei gioielli indossati da alcuni personaggi o nell’identificare il mollusco (Pecten) ed il corallo e prendere spunto per studiarne l’ambiente ed il ciclo di vita.

L’immaginazione del chimico non può non essere catturata dai colori e così abbiamo deciso di preparare uno dei pigmenti utilizzati dal pittore. Ma quali pigmenti utilizzò? Quando un pittore è del calibro di Piero della Francesca ed un dipinto è famoso come lo sono i suoi, si possono trovare molte informazioni sul web. In seguito abbiamo avuto un ulteriore aiuto dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Pisa, Lucca e Massa Carrara. Consultando schede e resoconti tecnici, abbiamo trovato che la tela di lino posta sulle nove assi di legno che costituiscono il supporto del dipinto era stata tinta con lacca di garanza. L’alizarina, che è la sostanza che conferisce il colore rosso alla lacca di garanza, si ottiene dalle radici della Robbia, una pianta che, sotto varie specie, fra cui la Rubia tinctorum, è presente comunque in tutta Europa. E così ce ne siamo andati per boschi e colline, in cerca di radici di Robbia.

Dalla Robbia all’alizarina

The madder plant

L’alizarina è una delle due principali sostanza colorate, l’altra è la purpurina, presenti nelle radici della Robbia. Già in tempi molto antichi veniva utilizzata in Asia, per tingere i tessuti e gli Egizi la utilizzarono per tingere le stoffe almeno a partire dal 1600 avanti Cristo. Il primo documento che ne testimonia l’impiego con la carta, risale al 972 dopo Cristo quando è stata utilizzata come inchiostro nel certificato di matrimonio dell’imperatrice bizantina Teofano. L’impiego in pittura si fa risalire al sedicesimo secolo.

La Robbia, comune in tutta Europa, è una pianta strisciante lunga fino a 1,5 m. Il fiore è bianco-giallo ed il frutto è una bacca rosso-rosa. Dal fusto dipartono gruppi di cinque-sei foglie la cui faccia inferiore è appiccicosa e ruvida. Le radici sono rossastre.

Nelle radici fresche l’alizarina è prevalentemente presente sotto forma glucosidica, come acido ruberitrico. Le radici, lavate e ridotte a piccoli pezzi, sono trattate con una soluzione di acido cloridrico, al fine di idrolizzare l’acido ruberitrico e rimuovere i flavonoidi che, altrimenti, renderebbero opaco il pigmento. Le radici vengono poi asciugate e trattate con una soluzione acquosa di allume per estrarre l’alizarina che forma un complesso di colore rosso.

Per ottenere il pigmento, si aggiunge soda in soluzione acquosa:  precipita idrossido di alluminio che adsorbe, a sua volta, l’alizarina.
 

 Estrazione dell’alizarina

La quantità di alizarina contenuta nelle radici dipende dalla stagione e dal tipo di suolo, anche se il contenuto medio è all’incirca dell’1,9% m/m.

  1. Si mmergiono X grammi di radice secca di Robbia in una soluzione di acido cloridrico 0,27 M, per 48 ore a temperatura ambiente. Si separano le radici dalla soluzione e si lasciano asciugare.
  2. Si aggiungono 1,9X mL di soluzione acquosa di allume (KAl(SO4)2.12H2O) 0,021 M

    Al3+(aq)  2C14O4H8(aq) → Al(C14O4H8)23+(aq)
     

  3. Si fa bollire la miscela per 3 ore, mantenendo il volume costante aggiungendo, di volta in volta, piccole quantità d’acqua.
  4. Si fa raffreddare la miscela e si allontanano le radici.
  5. lla soluzione ottenuta, si aggiungono, goccia a goccia, 0,63X mL di soluzione acquosa di soda 0,094 M

    2Al(C14O4H8)23+(aq) + 3Na2CO3(aq) + 3H2O(l) → 2Al(OH)3(s) + 4C14O4H8(s) + 3CO2(g) + 6Na+(aq)
     

  6. Una volta che il pigmento è precipitato, lo si separa utilizzando un imbuto Buchner, lo si lava con acqua e poi lo si asciuga.

La ricerca di immagini nascoste nei dipinti di Pietro da Talada

La tecnica dell’imaging
multispettrale richiede

Dal punto di vista del fisico, un dipinto rappresenta un pretesto eccellente per indagare l’interazione fra materia ed onde elettromagnetiche. La tecnica dell’imaging multispettrale era, proprio per questo motivo, molto utile allo scopo, ma dove avrei potuto trovare la strumentazione necessaria? E quale tipo di percorso seguire nell’indagine? Un’analisi di quel tipo su un dipinto famoso come quello di Piero della Francesca andava veramente oltre ogni ragionevole speranza!

Presi allora contatti con la sede pisana del CNR e il Dott. Vincenzo Palleschi responsabile del laboratorio di spettroscopia laser applicata, accettò con entusiasmo. Una mia collega, Lucilla Simonini, docente di lettere, suggerì lo studio dei lavori di Pietro da Talada. Questo pittore minore del quattrocento può essere presumibilmente identificato con il Maestro di Borsigliana ed è un esponente del Gotico Internazionale. La maggior parte dei suoi lavori si trovano sparsi in diverse chiese della Garfagnana, nel nord della Toscana ma due si trovano a Lucca: uno al Museo di Villa Guinigi e l’altro alla Fondazione Cassa di Risparmio. Presi contatti con la Dott.ssa Filieri, allora responsabile della Soprintendenza ai Beni Culturali, la quale ci diede il permesso di fotografare i dipinti.

Utilizzare l’imaging
multispettrale per
evidenziare I diversi strati
pittorici (vedi sopra, vedi
sotto)

La tecnica dell’imaging multispettrale richiede una macchina fotografica digitale interfacciata ad un monocromatore e collegata ad un computer. Il sistema registra l’intensità luminosa in funzione sia della lunghezza d’onda sia della posizione. Le immagini acquisite ed analizzate in larghe bande spettrali nelle regioni che vanno dal vicino ultravioletto al vicino infrarosso, possono poi essere rielaborate ed analizzate attraverso software realizzati allo scopo.

Se si sovrappongono tre immagini, acquisite separatamente selezionando le tre componenti primarie (rosso, verde e blue) si ottiene un’immagine di una qualità tre volte maggiore rispetto a quella che si otterrebbe dall’esposizione di una normale pellicola. La risoluzione dell’immagine dipende anche dalla densità dei pixel sul sensore e dalla profondità di colore dei pixel (numero di informazioni collegate a ciascun tono di colore), Con una profondità di colore di 14 bit si ottengono 16 384 toni di colore per ogni colore primario e (16 384)3, circa 4400 miliardi, di colori.

Se un dipinto è illuminato con luce bianca, l’immagine riflessa nell’ultravioletto ci dà informazioni sulla struttura della superficie, mentre quelle riflesse a lunghezze d’onda maggiori ci informano sulla struttura al di sotto dello strato pittorico. Quindi, acquisendo foto a diverse lunghezze d’onda, speravamo di scoprire dei pentimenti: tracce nascoste di pitture precedenti.

Viene evidenziato un
restauro

La composizione chimica di un dipinto comincia a cambiare dal momento in cui il pittore finisce di lavorarvi, questo perchè le sostanze vanno incontro a processi ossidativi e degradativi e così i pigmenti con il passar del tempo possono trasformarsi o sbiadire. Alcuni cambiamenti nella composizione possono però essere dovuti ai restauri. Quando si utilizza come sorgente luminosa una lampada a mercurio che trasmette a 365 nanometri, parte della radiazione ultravioletta viene assorbita e riemessa con minor contenuto energetico nella regione visibile dello spettro: si ha il fenomeno della fluorescenza. Utilizzando questa strumentazione potevamo così andare alla ricerca di restauri fatti con pigmenti diversi da quelli utilizzati originariamente da Pietro da Talada.

Raramente ho visto i miei allievi lavorare con lo stesso entusiasmo mostrato quando, pieni di curiosità, ricercavano pentimenti. Finalmente un bel giorno, fu fatta la tanto desiderata scoperta! Mentre stavamo analizzando il dipinto conservato alla Fondazione Cassa di Risparmio, abbiamo evidenziato un pentimento: Pietro da Talada  cambiò idea, sulla posizione  in cui disegnare la piegatura della veste (vedi sopra). Eravamo al settimo cielo!

Lo stesso giorno, sfruttando la tecnica della fluorescenza, abbiamo messo in evidenza un restauro, ben visibile per i differenti toni di rosa (vedi sopra).

C’era la neve quel giorno e faceva davvero molto freddo ma quando mi resi conto che gli studenti erano perfettamente coscienti di quanta bellezza ci sia nella scienza e di quanta scienza ci sia nella bellezza, mi riscaldai di gioia.


Author(s)

Gianluca Farusi insegna chimica in Italia, a Carrara, presso l’Istituto Tecnico Industriale Galileo Galilei. E’ anche esercitatore di stechiometria all’Università di Pisa.

Review

Questo articolo evidenzia in modo molto interessante i legami esistenti fra discipline umanistiche e scientifiche e mostra modi originali di affrontare la tematica delle onde elettromagnetiche e delle sostanze coloranti.

La tecnica d’estrazione del colorante è tale da poter essere facilmente realizzata nelle scuole, ha legami con la storia e con la botanica e può anche essere un pretesto per portare i ragazzi a ricercare delle piante durante l’ora di chimica.

La sezione relative alla fisica descrive un modo davvero interessante per introdurre l’idea dello spettro elettromagnetico ma, molto probabilmente è più difficile da realizzare per la maggior parte delle scuole secondarie dal momento che richiede una strumentazione specialistica. Ma è pur vero che costituisce un rimando interessante alla scienza investigativa e su come possano essere identificate alcune contraffazioni nelle opere d’arte.

L’aspetto più difficoltoso nel riprodurre quanto di scientifico è presente in questo articolo é il poter disporre della specifica sorgente luminosa e della strumentazione analitica necessaria allo scopo come pure poter disporre di opere d’arte. L’articolo può comunque essere utilizzato quale fonte di informazione o come specifico argomento di discussione.

Mark Robertson, Regno Unito

License

CC-BY-NC-SA

Download

Download this article as a PDF